Articoli in evidenza:

mercoledì, maggio 14, 2008

La costituzione e la monarchia

Riporto nel mio blog un bell'articolo pubblicato sul quotidiano L'Opinione.
In Italia è raro trovare giornalisti che scrivono quello che davvero pensano senza preoccuparsi di andare contro il Pensiero Unico imposto dal regime repubblicano.
In Italia c'è una quasi totale accettazione della Vulgata repubblicana che secondo me e' preoccupante in quanto dimostra che gli intellettuali ed i giornalisti sono per lo piu’ indottrinati.
Quindi l'autore (ed anche il giornale l'Opinione) ha il grande merito di pubblicare la sua riflessione storiche e politiche di quello che successe in Italia nel 1943-46 criticando anche chi (napolitano) oggi pretende di insegnarci la Storia.

L’articolo è un'analisi seria, concreta ed incontrovertibile della storia del nostro Paese ma purtroppo temo che non troverà eco. Le scuole ed i media sono quasi completamente succube di un Pensiero Unico che limita la democrazia e la liberta’.
Il regime repubblicano con una spietata propaganda tiene sotto controllo la stampa, televisioni e le scuole e solo nel web e’ facile trovare opinioni e riflessioni autentiche, nel senso che sono scritte da persone libere.

E' importante che gli italiani mantengano costantemente viva la memoria, ma il difficile processo di maturazione di coscienza deve avvenire senza che la Storia sia strumentalizzata.
Purtroppo invece il periodo della Liberazione e’ stato completamente falsato dai partiti ed in particolare dai comunisti.
L'avvento della repubblica era la prima tappa per poi far trionfare anche in Italia il comunismo e qundi il PCI doveva innanzitutto eliminare la Monarchia.
Inoltre per il PCI l'unico modo per legittimarsi completamente era quello di far parte dei vincitori e di "occupare la Liberazione". Per far cio' il PCI elimino' personaggi scomodi come i numerosi partigiani monarchici (ricordo Sogno) ed i soldati fedeli al Re.
L’errore fatale e’ stato che nel periodo difficile e delicato della Liberazione e Riscatto nazionale, insieme all’acque sporche si butto’ via anche il bambino, nel senso che, cancellando la Monarchia insieme al fascismo, l’Italia perse l'Identita' e la Forza, e quello che stiamo assistendo in senso negativo e' in gran parte causato dagli errori compiuti allora dai partiti.

Essendo un monarchico, e quindi non repubblichino o postfascista, non ho problemi a riconoscere che la Resistenza e' stato un momento di riscatto dell'Italia ma il "25 aprile" e' una data storica sbagliata ma che pero' è necessario riscrivere la Storia.
Si deve avere il coraggio di raccontare la Resistenza senza nascondere nulla, smitizzare quel che c'è da smitizzare, e per ottenere questo si deve procedere su due piani.
Su quello politico si deve liberare la Storia e le Istituzioni dalle ideologie e dalle strumentalizzazione da parte dei partiti.
Sul piano storico e culturale si deve insegnare che la Resistenza fu soprattutto fatta dai soldati del Regno d’Italia fedeli al Re (il primo esempio e' quello di Cefalonia) piuttosto che dai partigiani.

Riscrivere la Storia non significa denigrare o svalutare la Resistenza ma per giungere ad una vera pacificazione insegnando che quel moto di riscatto nazionale al quale dobbiamo la riconquista dell'indipendenza, dignità e libertà dell'Italia lo dobbiamo alla Monarchia, ai Savoia, ai Soldati fedeli al Re ed a quei partigiani che, senza macchiarsi di atti contro altri italiani, hanno combattuto pensando solo al bene della nostra Patria.

I punti fondamentali da chiarire sono che la repubblica e la resistenza non sono le stesse cose, come non lo sono la democrazia e repubblica.
Se nel referendum istituzionale del 1946 avesse vinto la Monarchia, la Resistenza non sarebbe stata certo cancellata ma anzi rafforzata ed accettata piu' di adesso per il semplice motivo che non sarebbe strumentalizzata dai partiti.

Quindi gli Italiani hanno potuto scegliere liberamente le sue forme costituzionali per le scelta opportune e corrette fatte da Re Vittorio Emanuele III, che garantirono la permanenza dello Stato sovrano nato dal Risorgimento (Monarchia), e per la presenza di una volontà politica democratica fedele al luogotenenza ed al breve regno di Umberto II.

Quindi i repubblicani, non solo i monarchici, dovrebbero ringraziare i Savoia ma evidentemente questa verita' e’ molto scomoda alla repubblica che continua a tenere le Salme dei Sovrani lontane dal Pantheon risorgimentale.


La costituzione e la monarchia
di Riccardo Scarpa

Le riflessioni sulla “Resistenza” del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, hanno riaffermato, nell’occasione dell’ultimo 25 d’aprile, un profilo alto del garante delle libere istituzioni e della coscienza nazionale. Con quel ricordo rispettoso d’ogni caduto, a prescindere dalla scelta compiuta in momenti difficili, ed al contempo con quel esigere rispetto per la storia, per quanto attenga ai principî fondanti dello Stato libero. Ne risulta la conferma d’un profilo della suprema magistratura dello Stato tanto morale quanto, direi, fisica, da re, quale un Umberto che non avesse patito i risultati referendarî alla Romita e fosse lì, ringiovanito, con una sua naturale tendenza ad una «monarchia socialista», quella ipoteticamente saragattiana e non l’obiettivo polemico del Missiroli prefascista. Detto questo, si consentano dei rispettosi rilievi storiografici, indispensabili proprio per rimarcare i principî fondanti d’un senso di patria che possa essere condiviso appieno.

Il Capo dello Stato, nel discorso di Genova, avoca alla «Resistenza» il merito d’aver fatto sì che la nuova Costituzione del 1947-48, promulgata da Enrico De Nicola, sia frutto d’un Assemblea costituente eletta a suffragio universale diretto, al contrario delle due altre date alle potenze dell’«asse» sconfitta. Queste ultime, infatti, o sono frutto, come la «Legge fondamentale» della Repubblica Federale di Germania, di opera dei Länder locali sotto controllo delle potenze occidentali, con l’approvazione d’una Consulta costituzionale eletta per modo di dire, oppure, come in Giappone, direttamente date per ispirazione dello stesso generale Douglas Arthur MacArthur, comandante delle forze alleate del Pacifico. Questo avvenne, però, per tre circostanze che debbono essere rese esplicite. Sono le scelte del re Vittorio Emanuele III e del principe Umberto quale luogotenente generale del Regno, nei difficili frangenti fra la fine dell’ultimo governo Mussolini, il 25 luglio del 1943, l’8 settembre successivo e la ricostituzione delle Regie forze armate col I Raggruppamento motorizzato e, poi, Corpo italiano di liberazione.

Queste scelte furono: 1) la tanto discussa decisione, costituito un Governo che liberasse lo Statuto dalle sovrastrutture fasciste, nelle difficili circostanza generate da modi e forme nelle quali gli anglo-americani resero noto l’armistizio, di «mettere al sicuro» i vertici istituzionali da rappresaglie germaniche per conservare la continuità dello Stato italiano, esattamente come fece Stalin nell’Unione Sovietica, riparando in gelide regioni interne distanti da Mosca per leghe non paragonabili al tiro di schioppo che separa Roma da Brindisi o Salerno, e non prendendo neppure in considerazione di riparare all’estero, come fecero i sovrani d’Olanda o Belgio e fece il generale Charles De Gaulle, per «dirigere la resistenza francese»; 2) l’allaccio immediato di contatti istituzionali con gli alleati, che perciò non occuparono mai le province sotto controllo del regno, e ne riconobbero la sovranità sui territorî mano a mano liberati, sino a riaccreditare a Roma le rispettive rappresentanze diplomatiche una volta liberata la capitale; 3) la immediata e spontanea resistenza, checché se ne dica, di molte unità militari agli occupanti germanici nella penisola, nelle isole greche e nei Balcani, e la ricostituzione di Forze armate regolari, combattenti con valore al fianco degli alleati, dalla partecipazione alla battaglia di Montelungo del I Raggruppamento motorizzato, nel dicembre del 1943, alla costituzione del Corpo italiano di liberazione (un corpo d’armata) nell’aprile del 1944, coi Gruppi di combattimento (divisioni) Cremona, Friuli, Folgore, Legnano, Mantova i Piceno, cioè d’un esercito di 413.000 uomini, coadiuvato da una marina di 83.000 uomini e un’aeronautica di 31.000, è a dire di Forze armate che hanno lasciato sul campo 87.000 caduti tra l’8 settembre del 1943 e l’8 di maggio del 1945, alle quali s’aggiungono gli 80.000 militari presenti nelle formazioni partigiane ed i 590.000 internati dai Germanici, poiché rifiutarono con essi ogni collaborazione, pel giuramento reso al Re ed alla Patria.

Tutto ciò ha impedito che lo Stato italiano abbia dovuto subire alcuna «debellatio», cioè annullamento della sua esistenza statuale. Proprio quanto, invece, venne imposto alla Germania rappresentata dall’ammiraglio Karl Dœnitz, per conto del governo d’affari formato dal conte Johann Schweirn von Krosigk per trattare una resa che fu incondizionata. Situazione espressa nella «legge» promulgata, il 25 di Febbraio del 1946, col n°46, da parte del Comitato di Controllo interalleato che dispone: «Lo Stato prussiano, insieme col suo governo centrale ed i suoi ufficî, è abolito». Apparte il tono ridicolo dell’enunciato, che è come se gli alleati, nel 1943 o nel 1945, avessero abolito il Regno di Sardegna, sta in fatto che lo Stato italiano, per le tanto discusse scelte politiche del momento di S. M. il Re Vittorio Emanuele III, e del suo governo, non subì una simile «debellatio», e per tanto fu pienamente sovrano nel scegliere come e con quali forme riformare il proprio ordinamento costituzionale. Se, poi, le modalità scelte per decidere la forma di Stato e di Governo furono quelle del referendum e dell’elezione d’un Assemblea costituente, votati per suffragio universale e diretto, ciò lo si deve a decreti legislativi luogotenenziali di Umberto di Savoia.

Infatti re Vittorio Emanuele III, col Regio decreto del 2 agosto 1943, n.705, aveva sciolto la Camera dei fasci e delle corporazioni e dichiarato, così, chiusa la XXX legislatura, ma le elezioni per la nuova Camera si davano per rinviate alla fine delle ostilità, e nelle more il potere legislativo veniva assunto dal governo, con decreti legge, che comunque mantenevano la clausola della presentazione al Parlamento per la conversione. Il sovrano, cioè, si limitò ad agire nell’ambito statutario, in attesa che le circostanze politiche consentissero il normale funzionamento dello Statuto Albertino. È con la nomina d’Umberto a luogotenente generale del Regno, che quest’ultimo, alla fine di tutto un processo politico, con decreto legislativo luogotenenziale del 25 giugno del 1944, n°151, che onestamente gli editori dovrebbero pubblicare a premessa storica della Costituzione vigente, si prevede l’elezione a suffragio universale diretto dell’Assemblea costituente e lo svolgimento del referendum sulla forma istituzionale dello Stato.

Quindi, la nazione ha scelto liberamente le sue forme costituzionali per due fatti storici concreti: la permanenza dello Stato sovrano nato dal Risorgimento, procurata da scelte, rivelatesi opportune e corrette, colle quali Re Vittorio Emanuele III ha concluso il suo lungo regno; una volontà politica democratica, rappresentata con fedeltà dalla luogotenenza e dal breve regno di Umberto II. Se, poi, un personale politico miope, nelle sue visioni di prospettiva storica, tiene ancora le ossa dei protagonisti lontane dal Pantheon risorgimentale, ciò lo si deve alla mancanza di coraggio con cui lor signori affrontano ogni giorno quel referendum diuturno che, come scriveva Ernest Rénan, è la nazione: il sentimento della quale, proprio per questo, continua a perdere il referendum ogni giorno, esclusi quelli in cui gioca la nazionale.

opinione

venerdì, maggio 09, 2008

9 maggio 1946 abdicazione di Re Vittorio Emanuele III


9 maggio 1946
Re Vittorio Emanuele III abdica in favore di Umberto II



Nello stesso tempo questa data è una ricorrenze gioiose e triste per l'Italia perché segna il passaggio da un Re ad un altro.

Vittorio Emanuele III (detto Re Soldato) fu importante per la vittoria della prima guerra mondiale e riuscì a limitare il potere di mussolini.

Umberto II (detto Re Amato) in poco tempo lasciò un ricordo incancellabile e per il bene della Patria decise di lasciare l'Italia per evitarle una guerra civile.

martedì, aprile 29, 2008

Economia e politica in Italia

Nel rapporto sulle previsioni economiche la Commissione Ue ha pubblicato che nel 2008 la crescita dell’Europa è in calo dove l’Italia guadagna, per l’ennesima volta, la maglia nera d’Europa.
L’inflazione record e crescita rallentata mette a rischio le famiglie a basso reddito e quindi in particolare in Italia dove gli stipendi sono piu’ leggeri rispetto alla media europea.
Le proiezioni sono all’insegna del pessimismo, che prevedono un aumento dei prezzi al 3,2% ed una diminuzione della crescita che si fermerà all’1,7%.
I dati provenienti da Bruxelles stimano che l’economia italiana crescerà appena dello 0,5% quest’anno e dello 0,8% nel 2009, ben al di sotto sia del potenziale, che è dell’1,6% circa, sia della crescita media dell’Eurozona.
Inoltre l’inflazione per il 2008 si situerà al 3% di media e il deficit, che nel 2007 era sceso per la prima volta sotto la soglia del 3% indicata dal Patto di Stabilità, dovrebbe risalire dall'1,9% al 2,3%.
Nonostante il debito pubblico sia previsto in diminuzione dal 104% del 2007 al 103,2% nel 2008, lo stato di salute dell’economia italiana è pessimo ed il nostro paese avrà, per il secondo anno consecutivo, la peggiore perfomance tra i 27 paesi dell’Ue

Per capire il persistente divario negativo di crescita dell’Italia rispetto alla media della zona euro ci sono due strade:
o gli italiani lavorano meno degli altri popoli (opzione non sostenibile)
oppure lo stato non è in grado di aiutare il lavoro degli italiani

Evidentemente la causa della debole e grave situazione economica e finanziaria del nostro paese è del Sistema Italia, e quindi del regime repubblicano.
L’economia italiana avrebbe bisogno di una cura, ma tutto è drammaticamente complicato dal fatto che il vero malato è lo stato.
L'Italia avrebbe bisogno di Finanze pubbliche sostenibili e usarle per favorire una crescita ma ho l’impressione che tutti i governi italiani non hanno il coraggio di fare quello che si dovrebbe fare.

Uno stato non dovrebbe aiutare una azienda non in grado di competere nel mercato. Oppure nel caso si rileva la necessità di aiutarla almeno si dovrebbe eliminare la maggior parte dei suoi tentacoli incancreniti.
Nulla di tutto ciò, e lo stato continua a compiere gli stessi errori.

Per il caso Alitalia lo Stato regala 300 milioni di Euro per dare ossigeno all’azienda, senza migliorare l’efficienza degli aeroporti e contemporaneamente coinvolgere anche il sistema ferroviario.
Infatti lo scopo non è salvare l’Alitalia ma migliorare la mobilità degli uomini e delle merci in Italia, e per realizzare questo ci dovrebbe essere una sinergia tra aeroporti e ferrovie.

A questo punto è spontaneo chiedere : Che differenza c’è tra l’assistenza di Prodi e quella di Berlusconi ?
La classe politica è in grado di fare vigorose politiche economiche?

Me lo auguro, ma rimango scettico.
Io vedo sempre le stesse persone, la stessa classe politica, temo che con le recenti elezioni ci sia solo un cambiamento di facciata, ma la nomenKlatura intesa come Pensiero politico-culturale rimane ancora saldamente al Potere.

Solo una virtuosa rivoluzione - in particolare culturale - potrebbe realizzare un reale e positivo cambiamento.

La scure di Bruxelles sui conti italiani

Crescita in stallo, irrilevante e comunque inferiore agli altri partner europei. Conti pubblici in peggioramento in un contesto di globale di frenata dell’economia e di allarme inflazione. È un quadro a tinte fosche per l’Italia quello indicato dalle previsioni economiche di primavera presentate dal commissario Ue per gli Affari economici e monetari Joaquin Almunia.

Crescita economica

I dati indicano che il motore dell’economia italiana continua a rallentare e nel corso dell’anno toccherà il fondo con una crescita dello 0,5 per cento, a febbraio si prevedeva lo 0,7 per cento, per risalire nel 2009 allo 0,8 per cento. «Complessivamente la crescita del Pil reale nel 2008 è prevista allo 0,5 per cento - si legge nel documento - chiaramente al di sotto del potenziale» e «il persistente gap negativo di crescita rispetto alla media dell’area euro si allargherà ulteriormente, nonostante l’esposizione relativamente modesta del sistema bancario italiano alle turbolenze finanziarie».

Secondo gli esperti del motore comunitario «il previsto rallentamento della crescita è causato da tutte le componenti della domanda». «Quando guardo alle previsioni per l’Italia la preoccupazione principale è la crescita molto molto ridotta - ha spiegato Almunia - è una crescita molto bassa e al di sotto del potenziale dell’Italia».

Inoltre, «questa crescita è accompagnata nelle nostre previsioni da un’evoluzione molto debole della produttività» e «tutto questo in un Paese che avrebbe bisogno di una maggiore crescita equilibrata per migliorare la sostenibilità e la qualità delle proprie finanze pubbliche e ridurre il peso del debito pubblico per poter utilizzare le risorse come uno strumento che favorisca la crescita». Queste, per il rappresentante dell’esecutivo Ue, «sono le questioni che devono essere affrontate dal Governo italiano, vecchio e nuovo».

PIL e Conti Pubblici

Sul fronte dei conti pubblici infatti da Bruxelles avvertono già i segnali di un peggioramento dei dati: quest’anno il rapporto deficit/Pil delle finanze pubbliche italiane dovrebbe risalire al 2,3 per cento contro l’1,9 del 2007 e, anche se il dato è inferiore al 2,4 per cento indicato dal Governo ed è al di sotto della soglia del 3 per cento indicata dal Patto di Stabilità, nel 2008 i dati dei conti pubblici italiani sono in peggioramento. Quest’anno, si legge nel documento, «l’avanzo primario dovrebbe ridursi di mezzo punto percentuale rispetto al Pil». Inoltre «al netto dei fattori ciclici ed escludendo le misure una tantum, sia per il deficit che per il bilancio primario è previsto un peggioramento di più di un quarto di punto percentuale rispetto al Pil» e «questo deterioramento è dovuto alla spesa addizionale e ai tagli di tasse».

Debito pubblico

Il debito pubblico è invece previsto in diminuzione dal 104 per cento del 2007 al 103,2 per cento nel 2008 e ad un livello ancora più basso, nell’ipotesi di politiche invariate, l’anno prossimo. Nel resto d’Europa in medio la situazione è migliore ma non di molto. la Commissione ha ritoccato al ribasso le stime di crescita per il 2008 all’1,7 per cento, contro l’1,8 indicato il 21 febbraio scorso, lasciando invariate le previsioni per l’Ue a 27, al 2 per cento. A suscitare allarme però è la corsa inarrestabile dei prezzi che fa schizzare le stime sull’inflazione per l’anno in corso al 3,2 per cento nella zona euro e al 3,6 per cento nell’Ue, contro una previsione di febbraio di rispettivamente 2,6 e 2,9 per cento. Per l’Italia la stima è 3 per cento nel 2008 e 2,2 per cento nel 2009.

abcfinanze