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domenica, luglio 01, 2007

Repubblica Speciale


L'ex-Generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale ha fatto sapere, tramite il Presidente della Commissione Difesa del Senato Sergio De Gregorio, di aver deciso di querelare per diffamazione e calunnie il Ministro dell'Economia Padoa-Schioppa e il Presidente del Consiglio Prodi.

Tutto ciò avviene dopo il caso Visco-GdF, e lo squallido e vile discorso al Senato del Ministro dell'Economia, durante il quale sostenne l’urgenza della sostituzione del vertice della Gdf a causa di una sua presunta slealtà e inadeguatezza.

La lotta tra il governo e la GdF evidenzia ulteriormente il degrado repubblicano, continuano ad aumentare i conflitti tra le varie importanti funzioni dello stato che destabilizzano non solo il Governo Prodi ma tutto il sistema repubblicano.

Inoltre il caso Speciale mette in luce da parte del governo un disegno di creare uno Stato di Polizia, con le sempre più numerose sostituzioni di funzionari prefettizi con uomini provenienti dalla Polizia di Stato e dell'Esercito.

Non era ancora successo che un generale querelasse un governo.

Un'altra vergogna e figuraccia della repubblica ... speciale


SIRCANA: LA QUERELA? LA AFFRONTEREMO SENZA PATEMI

ROMA - "Affronteremo la querela senza patemi. Non c'é preoccupazione da parte del governo". Ha risposto così Silvio Sircana, portavoce del governo, ai microfoni di Sky Tg24 a proposito dell'annunciata querela per diffamazione da parte del generale Roberto Speciale. "Al di là della singolarità dell'atto, sulla sua liceità valuterà la magistratura della quale come sempre noi ci fidiamo e ne apprezziamo la neutralità del lavoro", ha aggiunto Sircana. "Sicuramente - ha sottolineato - sembra che questa vicenda stia salendo sopra le righe. La mossa di Speciale come singolo individuo è una mossa legittima, che ogni cittadino può intraprendere. "Stupisce - ha semmai aggiunto Sircana - che Speciale abbia bisogno di un portavoce, nella persona del senatore De Gregorio, che ha agito in questo caso con lo stesso zelo con cui ha agito nel saltare da una parte all'altra degli schieramenti politici all'inizio di questa legislatura".

CASELLATI (FI), SPECIALE NON CI STA E DENUNCIA PRODI
"Lo scandalo Visco si arricchisce di una nuova puntata: il generale Speciale, infatti, non ci sta a farsi calunniare e porta in tribunale Prodi e Padoa-Schioppa. E la dimostrazione che il generale ha agito sempre nel rispetto delle regole e non si è piegato alle pressioni del viceministro, che, poi, per destituirlo, lo ha accusato ingiustamente, spalleggiato dal premier e dal ministro dell'Economia". Lo afferma Maria Elisabetta Casellati, vicepresidente dei senatori di Forza Italia. "La banda-dracula, che sta dissanguando gli italiani con le tasse, è con le spalle al muro, ma ancora una volta non si dimetterà. Questi signori proprio non conoscono il significato della parola dignità".

GASPARRI, SI DIMETTA SUBITO, RIPORTARE CASO A CAMERE
"Ma fino a quando bisognerà sopportare lo scandalo Visco? Ha minacciato la guardia di finanza, rapinato i contribuenti e aggredito L'economia produttiva con gli studi di settore. Fa bene Speciale a chiedere soddisfazione in sede giudiziaria". Lo afferma l'esponente di An, Maurizio Gasparri. "E non bisogna dimenticare che lo scandalo investe Prodi e Padoa-Schioppa che per difendere Visco hanno mentito in Parlamento. Visco si dimetta subito. Noi intanto dobbiamo riportare il caso in Parlamento", dice ancora.

CALDEROLI, A DOVERSENE ANDARE SONO PRODI E TPS
"Il problema non è Visco che è stato un semplice 'sicario' nel caso Gdf: è evidente che i mandanti di tutta questa vicenda sono Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa che, tra l'altro, hanno accusato Speciale e difeso Visco: sono loro due a doversene andare".Lo afferma il leghista Roberto Calderoli.

STORACE (AN): E' UNO SCANDALO CHE RESTI
"La permanenza di Visco al governo è un vero scandalo. Il presidente del Consiglio non deve minimizzare, il Presidente della Repubblica non deve tacere. La politica dei due pesi e delle due misure deve finire". Lo afferma in una nota il senatore di Alleanza Nazionale, Francesco Storace.
ansa

giovedì, giugno 28, 2007

Rifiuti in Campania: Ue sanziona la repubblica italiana


La cronica crisi dei rifiuti che colpisce Napoli e la Campania ha spinto la Commissione europea ha avviato una procedura d'infrazione contro la repubblica italiana per il rischio di diffusione di malattie e di inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo.

Nella nota di bruxelles, la Commissione ritiene che gli impianti regionali per lo smaltimento dei rifiuti siano inadeguati e presentino grossi rischi per la salute e per l'ambiente, una situazione che costituisce una patente violazione della normativa Ue sui rifiuti.

Inoltre la Commissione procede anche alla valutazione dei progetti del governo italiano che intende aprire quattro nuove discariche di rifiuti in Campania.

Le immagini scioccanti di immondizie che marciscono nelle strade della Campania e cittadini esasperati che incendiano i rifiuti hanno scioccato anche gli europei, e l'UE chiede alla repubblica italiana di agire prontamente per rimettere in efficienza gli impianti di gestione dei rifiuti in Campania e fare in modo che i rifiuti siano raccolti senza pericolo per la salute umana e per l'ambiente come prescrive la normativa europea.

Un'altra vergogna repubblicana ...

La Ue avvia una procedura d'infrazione

BRUXELLES - La Commissione europea ha avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia per la "cronica crisi" dei rifiuti che colpisce Napoli e il resto della regione Campania. Lo ha reso noto oggi lo stesso esecutivo europeo sottolineando che "il rischio di diffusione di malattie e di inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo desta gravi preoccupazioni per la salute umana e per l'ambiente".

La Commissione, si legge in una nota, ritiene che "gli impianti regionali per lo smaltimento dei rifiuti siano inadeguati e presentino grossi rischi per la salute e per l'ambiente, una situazione che costituisce una patente violazione della normativa Ue sui rifiuti". Per questo la Commissione ha inviato all'Italia una "lettera di costituzione in mora" - la prima fase della procedura d'infrazione - chiedendo anche informazioni sui provvedimenti eventualmente presi per proteggere la salute umana e l'ambiente nella regione. Contemporaneamente, la Commissione procede anche alla valutazione dei progetti del governo italiano "che intende aprire quattro nuove discariche di rifiuti in Campania".

L'esecutivo Ue intende infatti accertare, spiega ancora la nota di Bruxelles, "se siano compatibili con la normativa Ue e assicurarsi che risolvano, nel lungo periodo il drammatico problema dei rifiuti nella regione". Secondo la Commissione l'Italia è venuta meno agli obblighi della direttiva quadro sui rifiuti che impone agli stati membri di "prendere tutte le misure necessarie per impedire che i rifiuti vengano abbandonati, riversati o smaltiti in modo incontrollato".


ansa

mercoledì, giugno 27, 2007

Storia repubblicana


La storia è sempre imposta dai vincitori o presunti tali.

In Italia il 10 giugno la Corte di cassazione ufficializzò il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 ma non proclamò la repubblica in attesa di esaminare le contestazioni.
La repubblica non fu MAI proclamata.

Il governo, guidato da De Gasperi, cerca un accordo con il re Umberto II per avviare il trapasso dei poteri, ma la corona rifiuta.
L'indomani nel Sud si scatena la piazza monarchica. A Napoli, già teatro in precedenza di scontri sanguinosi, la folla assale la sede del Pci, in via Medina, dov'è stato esposto un tricolore senza lo stemma sabaudo.
Quel giorno a via Medina scoppia infatti una violenta battaglia, risolta dalle mitragliatrici della polizia ausiliaria (composta perlopiù di ex partigiani), che falciano i dimostranti: sul terreno restano diversi morti, tutti monarchici.
Due giorni dopo Umberto II lascia l'Italia.

Visto che l'eccidio avvenuto a napoli non è mai stato ricordato da nessun testo scolastico, la storia repubblicana ha ucciso una seconda volta quei giovani italiani, colpevoli solo di manifestare apertamente e pacificamente i loro ideali e la contrarietà all'esito del Referendum istituzionale.

Ricordiamo i giovani Caduti in via Medina nel giugno 1946 morti per essere rimasti fedeli al Re e alla Patria.
I loro nomi: Guido Beninati, Ida Cavalieri, Felice Chirico, Gaetano d’Alessandro, Francesco d’Azzo, Vincenzo Di Guida, Mario Fioretti, Michele Pappalardo, Carlo Russo.

Quei monarchici di Napoli uccisi anche dalla storia

Leggendo il bel saggio (fresco di giornata) di Marco Demarco sugli interessati ritocchi apportati dalla storiografia comunista (ex, post e neo) agli eventi napoletani degli ultimi cinquant’anni (L’altra metà della storia. Spunti e riflessioni su Napoli da Lauro a Bassolino, Guida editore) a un certo punto ci si imbatte, non senza un moto di stupore, in una notizia che pur essendo vecchia di ben sessantun anni, può considerarsi tuttavia assolutamente inedita.

Accadde a Napoli l’11 giugno 1946, in via Medina, davanti alla sede della federazione del Pci, dove ci fu una strage durante la quale, sotto il fuoco dei mitra della polizia, rimasero uccisi sette poveri cristi e feriti una cinquantina di disgraziati.

Come si arrivò a quell’eccidio? Dalla ricostruzione di Demarco (la prima, per quanto ne so, che sia sta finora tentata) risulta che la strage fu il momento culminante della tensione esplosiva manifestatasi a Napoli tra repubblicani e monarchici all’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno.
Oltre l’80 per cento dei napoletani, avendo votato per la corona, aveva infatti trovato quei risultati inaccettabili.
Il ministro dell’Interno, il socialista Romita, prevedendo dei tumulti, aveva quindi mandato in città dei reparti di polizia ausiliaria composti da ex partigiani.
Il 7 giugno, durante una manifestazione monarchica, un giovane popolano di 14 anni (Carlo Russo) era caduto falciato dai mitra di quei singolari poliziotti.
Stessa sorte era toccata l’8 giugno a uno studente monarchico mentre rientrava da un’altra manifestazione.
Due giorni dopo la Corte di cassazione ufficializzò il risultato del referendum ma non proclamò la repubblica in attesa di esaminare le contestazioni.
Si arrivò così all’11 giugno. Quella mattina per Napoli si sparse la notizia che dai balconi della sede del Pci, accanto alla bandiera rossa con falce e martello, sventolava un tricolore privo dello stemma sabaudo. Migliaia di monarchici si diressero allora verso via Medina per rimuovere quel vessillo. Pochi minuti dopo il centro di Napoli si trasformò in un inferno. La polizia ausiliaria aprì il fuoco contro i manifestanti che stavano scalando il palazzo. I monarchici incominciarono a innalzare delle barricate contro le camionette della Celere. Soltanto con l’arrivo dei carabinieri e della polizia militare americana venne riportata la calma.

Sulla vicenda la storiografia ufficiale aveva fatto calare un silenzio che si è rotto solo oggi grazie al libro di Demarco. Silenzio motivato naturalmente dalla circostanza che quel giorno a perdere la vita furono solo dei poveracci di destra.
E questo spiega perché, quando si discorre delle stragi del secondo dopoguerra, tutti ricordano i dodici morti di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), ma quasi nessuno i nove poveri ingenui «lazzaroni» monarchici caduti a Napoli soltanto un anno prima.

ilgiornale