La storia è sempre imposta dai vincitori o presunti tali.
In Italia il 10 giugno la Corte di cassazione ufficializzò il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 ma non proclamò la repubblica in attesa di esaminare le contestazioni.
La repubblica non fu MAI proclamata.
Il governo, guidato da De Gasperi, cerca un accordo con il re Umberto II per avviare il trapasso dei poteri, ma la corona rifiuta.
L'indomani nel Sud si scatena la piazza monarchica. A Napoli, già teatro in precedenza di scontri sanguinosi, la folla assale la sede del Pci, in via Medina, dov'è stato esposto un tricolore senza lo stemma sabaudo.
Quel giorno a via Medina scoppia infatti una violenta battaglia, risolta dalle mitragliatrici della polizia ausiliaria (composta perlopiù di ex partigiani), che falciano i dimostranti: sul terreno restano diversi morti, tutti monarchici.
Due giorni dopo Umberto II lascia l'Italia.
Visto che l'eccidio avvenuto a napoli non è mai stato ricordato da nessun testo scolastico, la storia repubblicana ha ucciso una seconda volta quei giovani italiani, colpevoli solo di manifestare apertamente e pacificamente i loro ideali e la contrarietà all'esito del Referendum istituzionale.
Ricordiamo i giovani Caduti in via Medina nel giugno 1946 morti per essere rimasti fedeli al Re e alla Patria.
I loro nomi: Guido Beninati, Ida Cavalieri, Felice Chirico, Gaetano d’Alessandro, Francesco d’Azzo, Vincenzo Di Guida, Mario Fioretti, Michele Pappalardo, Carlo Russo.
Quei monarchici di Napoli uccisi anche dalla storia
Leggendo il bel saggio (fresco di giornata) di Marco Demarco sugli interessati ritocchi apportati dalla storiografia comunista (ex, post e neo) agli eventi napoletani degli ultimi cinquant’anni (L’altra metà della storia. Spunti e riflessioni su Napoli da Lauro a Bassolino, Guida editore) a un certo punto ci si imbatte, non senza un moto di stupore, in una notizia che pur essendo vecchia di ben sessantun anni, può considerarsi tuttavia assolutamente inedita.
Accadde a Napoli l’11 giugno 1946, in via Medina, davanti alla sede della federazione del Pci, dove ci fu una strage durante la quale, sotto il fuoco dei mitra della polizia, rimasero uccisi sette poveri cristi e feriti una cinquantina di disgraziati.
Come si arrivò a quell’eccidio? Dalla ricostruzione di Demarco (la prima, per quanto ne so, che sia sta finora tentata) risulta che la strage fu il momento culminante della tensione esplosiva manifestatasi a Napoli tra repubblicani e monarchici all’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno.
Oltre l’80 per cento dei napoletani, avendo votato per la corona, aveva infatti trovato quei risultati inaccettabili.
Il ministro dell’Interno, il socialista Romita, prevedendo dei tumulti, aveva quindi mandato in città dei reparti di polizia ausiliaria composti da ex partigiani.
Il 7 giugno, durante una manifestazione monarchica, un giovane popolano di 14 anni (Carlo Russo) era caduto falciato dai mitra di quei singolari poliziotti.
Stessa sorte era toccata l’8 giugno a uno studente monarchico mentre rientrava da un’altra manifestazione.
Due giorni dopo la Corte di cassazione ufficializzò il risultato del referendum ma non proclamò la repubblica in attesa di esaminare le contestazioni.
Si arrivò così all’11 giugno. Quella mattina per Napoli si sparse la notizia che dai balconi della sede del Pci, accanto alla bandiera rossa con falce e martello, sventolava un tricolore privo dello stemma sabaudo. Migliaia di monarchici si diressero allora verso via Medina per rimuovere quel vessillo. Pochi minuti dopo il centro di Napoli si trasformò in un inferno. La polizia ausiliaria aprì il fuoco contro i manifestanti che stavano scalando il palazzo. I monarchici incominciarono a innalzare delle barricate contro le camionette della Celere. Soltanto con l’arrivo dei carabinieri e della polizia militare americana venne riportata la calma.
Sulla vicenda la storiografia ufficiale aveva fatto calare un silenzio che si è rotto solo oggi grazie al libro di Demarco. Silenzio motivato naturalmente dalla circostanza che quel giorno a perdere la vita furono solo dei poveracci di destra.
E questo spiega perché, quando si discorre delle stragi del secondo dopoguerra, tutti ricordano i dodici morti di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), ma quasi nessuno i nove poveri ingenui «lazzaroni» monarchici caduti a Napoli soltanto un anno prima.
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