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martedì, luglio 17, 2007

Il Debito della repubblica


Secondo il governatore della Banca d’Italia non esiste alcun tesoretto da spendere e la Corte dei conti ha ribadito la necessità di ridurre la spesa pubblica.

E' possibile che lo stesso sistema repubblicano, che ha creato il debito pubblico ed aumentato le spese, possa risanare la disastrosa situazione finanziaria dello stato italiano?
Una classe politica, dalla quale arrivano soltanto segnali di impotenza ed inerzia, può riformare lo stato?


La repubblica italiana ha sempre aumentato il numero degli enti, ha moltiplicato le burocrazie, le consulenze, i privilegi.
Il clientelismo e l'aumento delle spese sono le arme con i quali i partiti hanno raggiunto il consenso, costituiscono il DNA della repubblica.
Ecco perchè quando si parla di ridurre enti, prebende e privilegi assistiamo ad una aspra lotta tra i segmenti protetti della società e della politica, tra le lobbies politiche e sociali che formano la nomenklatura del potere repubblicano.

Inevitabilmente tutte le marginali buone intenzioni sono destinate a fallire, perchè scontrano contro una sedimentazione socio-economica-politica di radicata efficacia che rappresenta il nocciolo duro della repubblica.

Il perverso meccanismo con il quale il sistema repubblicano ha provocato la crescita esponenziale del debito pubblico era di stampare i nuovi soldi che servivano per coprire le spese (spesso dannose ed inutile).
Adesso però il patto di stabilità europeo non permette più agli stati di proseguire su questa strada.

Di fronte a questa situazione, senza dubbio, per tagliare i costi della politica occorre una nuova classe politica il più possibile lontana dalla nomenklatura, c'è bisogno di nuovi partiti che sostituiscano quelli precedenti, c'è bisogno di italiani che, per il bene dell'Italia, si occupano della cosa pubblica.

Non servono a nulla ritocchi o nuovi leggi per le elezioni ma c'è l'esigenza di un cambiamento radicale.
Altrimenti ci aspetta il burrone...

SULLA SOGLIA DEL BURRONE

Il rischio è che la festa finisca e che gli italiani non siano stati neanche invitati. Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia ha detto: «Una fase congiunturale favorevole avrebbe consentito un più rapido riequilibrio dei conti». E il presidente della Corte dei Conti, Tullio Lazzaro, ha aggiunto «appare rischioso non cogliere appieno le occasioni offerte da un ciclo economico particolarmente favorevole». E poi a seguire le dure critiche ad una spesa pubblica che continua a crescere e ad una politica fiscale oppressiva. L'atteggiamento, è la metafora di un economista americano, sembra quello di Willy il coyote: fa due passi nel vuoto, tutto sembra per un momento andare bene, poi, però, precipita inesorabilmente nel burrone. Così la nostra spesa pubblica: alimentata dalla riduzione dell'età pensionabile e dagli aumenti dei contratti dei dipendenti pubblici. E così l'aumento delle imposte che viene mascherato dal sacrosanto principio di combattere l'evasione e che alla fine si traduce in un aumento delle aliquote per coloro che le imposte le pagano.

Troppe tasse e troppe spese sono il doppio passo che per il momento ci tiene sospesi a mezz'aria, ma che prima o poi ci precipiterà nel burrone. Denunciare questo stato di cose, ha certo un forte impatto politico, ma non rappresenta la prova ultima di una velleità politica. Draghi e Lazzaro hanno detto una volta in più ciò che gli economisti dicono da mesi e hanno aggiunto una considerazione finale originale. La congiuntura, insomma la «situazione in cui ci troviamo», è delle migliori: si rischia perciò di perdere un'occasione d'oro. In giro per il mondo l'economia cresce. Si creano più posti di lavoro, i prezzi delle merci non crescono troppo, le imprese investono e la gente consuma. Ma Draghi sa che i «cicli della bonanza» non durano per sempre. Il governo Berlusconi si è trovato per le mani un'economia ristagnante e ne ha pagato le conseguenze. Mettendoci anche del suo. Il governo Prodi è partito nel momento giusto: proprio mentre il diesel Europa iniziava a girare. Gettare alle ortiche questa occasione è gravissimo. Sul lato dei conti pubblici sarebbe bastato non mettersi in testa la scemenza di riportare a 57 anni l'età della pensione, che il precedente governo aveva alzato a 60. Sarebbe bastato dunque poco per risparmiare a regime nove miliardi di euro l'anno. E neanche questo è stato fatto.

Ma ancor più colpevole è ciò che è stato fatto nel distruggere la ricchezza del Paese. Fino a questo momento la forza dei grandi mercati europei è tale che sorregge le nostre esportazioni. Ma i consumi interni sono deboli, falcidiati dalle imposte. E le imprese, con la tassazione tra le più alte del mondo occidentale e le regole più farraginose, prima di investire sul nostro territorio ci pensano cento volte.

Il governo francese, appena insediato, fa quello che più modestamente Draghi&c dicono: ridurre le imposte sui cittadini per farli consumare e sulle imprese per farle produrre. Prodi, i sindacati e Willy il Coyote si ostinano a spendere e tassare. Il burrone ci aspetta.

ilgiornale

lunedì, luglio 16, 2007

Famiglia Reale della Russia



Una preghiera per i componenti della Famiglia Reale della Russia, martiri della rivoluzione comunista.

Nella notte tra il 16 e 17 luglio 1918 ad Ekaterinburg, i bolscevichi uccidono lo Zar di Russia Nicola II, la Zarina Alessandra d'Assia , i cinque figli, Olga, Tatiana, Maria, Anastasia, Alessio, e tre membri della servitù, la dama di compagnia Anna Demidova, il servo Trupp, il cuoco Kharitonov e il suo medico militare Dott. Botkin.

Nel 1990 i corpi furono ritrovati, ed identificati con l'esame del DNA. Non furono però ritrovati i resti dello zarevič Aleksej e della Granduchessa Anastasia, probabilmente bruciati dopo l'esecuzione.

Il 16 luglio 1998 la famiglia imperiale fu inumata con esequie di Stato nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo, di fianco alle tombe degli altri Romanov.

Nel 2000 la Chiesa Ortodossa Russa ha canonizzato i sette membri della famiglia imperiale russa insieme ad altri 850 martiri della rivoluzione bolscevica: lo zar Nicola II, la zarina Alessandra, il figlio Alessio e le altre 4 figlie.

venerdì, luglio 13, 2007

Aumenta la povertà

Secondo un’indagine Eurispes, tra il 2001 e il 2005 c’è stata una perdita del potere di acquisto delle retribuzioni del 20,4 % per gli impiegati, del 12,1 per i dirigenti e del 14,1 per gli operai.
Aumentano le persone che si rivolgono agli usurai per mantenere lo stesso tenore di vita di un tempo.
Sono circa 2.500.000 i nuclei familiari a rischio povertà, l'11% delle famiglie totali, ben 8 milioni di persone.
Oltre il 50% delle famiglie italiane, inoltre, dispone di un reddito mensile inferiore a 1.900 euro.

Inoltre c'è la sindrome da 'terza settimana' perchè la Famiglia è già al verde alla terza settimana.
Infatti il 51% delle famiglie, entrati nella terza decade del mese, riesce a far quadrare il proprio bilancio solo con pesanti sacrifici, e un 17%che fa addirittura i proverbiali salti mortali. Solo il 24% non ha alcun problema, mentre il 24% dichiara di tirare un po’ la cinghia nella quarta settimana.
Aumenta la povertà definita dall'Eurispes in 'giacca e cravatta', quella che colpisce i ceti medi in difficoltà.

Insomma è sempre più concreto il rischio di povertà per le famiglie italiane.

Di fronte a questa situazione sociale drammatica lo stato repubblicano fa ben poco per i cittadini, anzi le tasse aumentano ed i servizi peggiorano.
Se la tendenza continua così, il ceto medio imploderà fino a sparire per diventare un nuovo livello di povertà.

Da un lato c'è la casta della repubblica (politici, funzionari, manager, amici degli amici ....) e dall'altra i poveri italiani.

Pensioni, i poveri in giacca e cravatta

ROMA - Sette milioni di anziani che percepiscono pensioni di 500 euro al mese, giovani precari che passano da un lavoro all'altro, ma soprattutto un esercito di due milioni e mezzo di poveri "in giacca e cravatta" che fino a ieri erano considerati privilegiati, il cosiddetto ceto medio che oggi, già alla terza settimana dallo stipendio, si ritrova a dover contare il centesimo per arrivare a fine mese. 5.100.000 i nuclei familiari (15 milioni di individui) già indigenti o a rischio povertà: il 23% degli Italiani che arranca e si indebita, descritto nello studio dell'Eurispes "Problemi di famiglia", in collaborazione con Federcasalinghe, presentato stamattina a Roma.

- LA SOCIETA' DEI TRE TERZI: un terzo di Italiani appare assolutamente garantito, un terzo vive in decisa indigenza economica e l'altro terzo è rappresentato dalla fascia del ceto medio in condizioni di instabilità e precarietà. Tra loro i working poors, soggetti "normali" che si ritrovano poveri per riduzioni dello stipendio, che non riescono ad arrivare a fine mese, che passano la notte nei dormitori pubblici perché non hanno una casa, che in giacca e cravata mangiano alla Caritas durante l'ora di pausa per il pranzo. Tra il 2001 e il 2005, è stata calcolata una perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni del 20,4% per gli impiegati; 14,1% per gli operai; 12,1% per i dirigenti; 8,3% per i quadri.

- AUMENTANO I DEBITI E IL RISCHIO USURA PER IL CETO MEDIO: Mutui, prestiti e pagamenti a rate hanno fatto lievitare l'indebitamento delle famiglie italiane del 9,8% tra il 2005 e il 2006. Sono i mutui, però, ad assorbire il 56,5% dell'indebitamento complessivo pari a più di 430 miliardi di euro. Napoli, Roma, Milano e Torino le città in cui l'acquisto della casa grava sulle spalle dei cittadini in misura maggiore. Sono sempre di più le persone che si rivolgono agli usurai, anche per mantenere lo stesso tenore di vita di un tempo. E' Napoli la città maggiormente esposta al rischio, Bolzano la più virtuosa.

- LE TASSE E GLI ITALIANI : E' il 66,3% della popolazione ad affermare che bisogna pagare le tasse per avere migliori servizi pubblici. Tuttavia, il 53,4% non le paga volentieri perché crede poco nella capacità dello Stato di gestire le risorse (30,8%). Più fiducioso, il 40,2%, crede che lo Stato sia in grado di farlo. Un'eventuale riduzione delle tasse, dovrebbe riguardare, per il 67,7%, prima di tutto le classi più povere.

- QUANTO COSTA UN FIGLIO E DOVE RISPARMIARE : Una coppia con prole spende mediamente il 3,5% in più (quasi 3.000 euro con un figlio, 3.2000 con due) rispetto a chi non ne ha (2.860 euro). Il primo risparmio per gli Italiani è ridurre le spese per i regali (39,9% abbastanza, 23,1% molto) e acquistare in saldo (40,8% e 23,6%). Inoltre il 56,3% si serve per i prodotti alimentari molto o abbastanza frequentemente ai discount dove la merce, anche se non di marca, costa meno.

- POLITICHE FAMILIARI : Solo l'1,1% del Pil italiano è destinato alla spesa pubblica per la famiglia e l'infanzia, a fronte di una media europea (UE a 15) del 2,4%. Non va meglio per le politiche abitative: in termini di Pil il valore è prossimo allo zero, appena lo 0,06%. L'Italia spende poco anche per il sostegno alla disoccupazione: 2% contro la media europea di oltre il 6% ma di più per gli anziani ai quali è destinato il 50% della spesa pubblica sociale.

ansa