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domenica, settembre 21, 2008

Fallimento Alitalia e della repubblica


Dopo l’assenso della Uil, Cisl e Ugl ed il mancato accordo con la Cgil ed i piloti, la Cai ha ritirato l’offerta e quindi l’Alitalia è sull’orlo del fallimento.
Il giocattolo Alitalia si è rotto a pezzi e forse non poteva che finire così, visto che era strattonato dalle caste che pullulano in questa repubblica, quella dei politici dei sindacali e degli imprenditori.
Ieri si è imposto il ricatto della casta dei piloti e la prepotenza Cgil, sindacato a servizio della sinistra, un partito piuttosto che rappresentate degli interessi dei lavoratori.
D’altronde i governi della repubblica italiana sono sempre stati condizionati dai sindacati, altra grave anomalia della repubblica italiana, e questa volta la CGIL ha colpito duramente il governo di berlusconi.
E' evidente la svolta politica della Cgil e lo strapotere di alcune categorie di lavoratori (i piloti) che sono i corresponsabili del carrozzone Alitalia che si trascina ormai da decenni, migliaia di miliardi di vecchie lire buttati via.

Le dichiarazioni a caldo di alcuni politici denotano incredulità, smarrimento e impotenza politica.
“Siamo di fronte al baratro, colpa di CGIL e piloti, ma anche colpa di una certa parte politica” (berlusconi)
"se siamo arrivati fin qui Berlusconi non cerchi colpevoli. Il colpevole è lui" (Bersani)
Ora c'è da tenere solo i nervi saldi" (Enrico Letta).
"È inimmaginabile che il piano di rilancio della compagnia possa avvenire contro la volontà della maggioranza dei piloti e degli assistenti di volo" (Epifani)

Quest'ultima affermazione è assurda perché il compito del sindacato non è di sobillare i lavoratori. Un'azienda si basa su equilibri di bilancio in grado di garantire il profitto, mentre il compito del sindacato è difendere il lavoro dei lavoratori e migliorare la remunerazione del lavoro che però sono in funzione del bilancio e della redditività dell'azienda.

E’ facile e comodo cavalcare l’onda dell’antiberlusconismo, o pensare che la colpa sia della parte politica opposta alla simpatia, in realtà la colpa è del sistema e che tutti hanno perso.
Il falso bipartitismo, che si sta facendo strada in Italia, serve solo a nascondere il fallimento del sistema repubblicano.
Bisogna abbandonarlo, non ha senso votare a sinistra o destra per poi rimanere sempre insoddisfatti e continuare a dare credito alle stessa classe politica che ha rovinato il nostro Paese.
Per uscire da questo tunnel, si deve ragionare senza farsi corrompere dalla propaganda del Potere e guardare la realtà da altre angolature.

Alcuni sostenevano che in Italia le risoluzioni governative del caso Alitalia, guidate da berlusconi o Prodi, andavano contro il liberismo.
Sembra proprio che in questa repubblica il liberalismo è sempre rievocato solo a parole, i governi non sono in grado di liberalizzare il mercato, i veti incrociati tra le varie caste che pullulano in questa repubblica impediscono la modernizzazione del Paese.
A questo punto bisogna pensare che si debba vendere la compagnia a pezzi al miglior acquirente perché possa nascere qualcosa di buono, cioè una compagnia di bandiera di cui non ci dobbiamo vergognare?

Siamo all’assurdo che la CGIL e i piloti, dicendo di no all'ultima offerta della CAI, si stanno dimostrando più vicini al liberismo del governo berlusconi.
Infatti questo probabile fallimento causerà la "distruzione creativa" che appartiene alla dottrina liberale, la quale sostiene che solo la caduta delle pessime compagnie fa avanzare le migliori per soddisfare il consumatore.
A questo punto, Epifani è diventato un emulo nascosto della Thatcher ?
Ragionando meglio, Epifani ha ceduto al veto imposto dalla sinistra e probabilmente ha prenotato un posto parlamentare per le prossime elezioni, ha preferito la politica dimenticando i lavoratori e gli interessi dei lavoratori.
Non si è reso conto però che la rottura finale delle trattative su Alitalia segna un punto di svolta nelle relazioni sindacali, il fallimento dell’Alitalia è anche il fallimento del sindacato confederale, la cosiddetta triplice, adesso la divisione tra i sindacati è irreversibile, l’unità sindacale è un ricordo.

L’aspetto positivo della vicenda è che forse adesso potrà nascere un nuovo sindacato che abbandoni le visioni legate ancora al comunismo, alla lotta di classe, allo statalismo, al sindacato come servizio di una parte della politica. Questo passaggio non è facile, la profonda crisi nella quale si trova la sinistra è ancor più accentuata all'interno dei sindacati che considerano ancora lo stato come la mucca da mungere, la risorsa dove trovare i denari per far sopravvivere aziende inutile e che non hanno mercato.

In questa repubblica ci sono solo tante caste - quella dei politici, dei sindacati, dei giornalisti, degli intellettuali, dei magistrati, ....- ed anche l’Alitalia è stata sbranata da queste caste che hanno distrutto la compagnia di bandiera dei voli.
Comincio a pensare che Berlusconi sia un falso liberista che per mantenere il potere fa gli interessi delle caste, degli imprenditori e dei burocrati di stato. (l'accordo con Colaninno è lampante)
Non ne parliamo poi di Prodi, che è il burocrate europeista che svenderebbe l’Italia all’Europa.

In questa repubblica non c'è più l'etica, il senso del bene comune, il valore essenziale della Patria, non esiste un vero Stato che fa gli interessi degli italiani.
Anche i sindacati non fanno gli interessi dei lavoratori ma fanno anche loro politica per proteggere i loro privilegi
Come al solito, non c’è nessuno che chiede scusa degli errori compiuti. L’Alitalia fallisce per colpa di tanti, i quali continuano ad alzare la voce e litigare tra loro, fregandosi dei poveri lavoratori.

La vicenda alitalia deve farci riflettere, la situazione è talmente grave che non dobbiamo preoccuparci dei lavoratori di Alitalia ma della intera Italia.
Il paese è stanco di questa classe politica, del teatrino in tv, dello scaricabarile. Si deve tornare a fare Politica, a misurarsi su proposte vere. Di leaderismo si può colpire ma si può anche morire.
Il fallimento di Alitalia è colpa del sistema repubblica, sia di chi l’ha gestita, sia dei sindacati che hanno permesso che venisse usata come parcheggio, sia dei vari governi che non hanno avuto la forza di sistemare la situazione.

Rimane solo l'inquietudine ed il terrore che da questo disastro annunciato non nasca chiarezza e modernizzazione del nostro Paese, insomma che il regime repubblicano riesca ancora una volta ad oscurare ed inghiottire tutto.

lunedì, settembre 15, 2008

Re Umberto II




15 SETTEMBRE 1904: NASCE RE UMBERTO II

Umberto II, Re d’Italia

Nato a Racconigi il 15 settembre 1904
Sposato a Roma l’8 gennaio 1930
Luogotenente Generale del Re il 5 giugno 1944
Re d’Italia dal 9 maggio 1946 al 18 marzo 1983

giovedì, settembre 11, 2008

Storia dell 8 settembre 1943

Per integrare la discussione pubblicata ieri in questo blog, riporto un articolo che ho trovato nella blogosfera.

Per capire davvero la Storia tutti dovrebbero cercare di distinguere i fatti dalla propaganda.
Stupisce il fatto che molti, e mi riferisco soprattutto ai giovani che in genere dovrebbero ribellarsi allo status quo ed al Potere, sembrano accettare la storia del periodo dal 1943 al 1946 raccontata ed imposta dalla repubblica, senza chiedersi se poi sia vero o no.

D'altronde si sa che la repubblica e' un fallimento dal punto di vista politico, sociale, economico, ci sono troppe cose che non funzionano.
Spesso si dice che la repubblica non ha credibilta', che le istituzioni sono lontane dagli italiani, e quindi vi chiedo :
Come si fa a credere che la storia insegnata da questa repubblica, ed in particolare a cio' che si dice sulla Monarchia, sia poi la verita?

LA VERITA’: GLI ORDINI C’ERANO

A Re Vittorio Emanuele III viene spesso rivolta l’accusa di aver lasciato l’esercito senza ordini alla data dell’armistizio.
In realtà le cose andarono diversamente.
Una premessa indispensabile in ogni Monarchia Costituzionale ( in ogni Repubblica) il Capo dello Stato, pur essendo nominalmente capo delle forze armate, non interviene direttamente nell’azione di comando.
Il motivo è molto semplice: anche quando un Sovrano od un Presidente hanno una formazione militare, è evidente che il comando delle forze armate deve essere affidato alle persone più tecnicamente preparate in materia, cioè agli ufficiali di carriera. Tutt’al più, il Presidente od il Re intervengono in situazioni d’estrema gravità, quando sono in gioco i destini della Nazione. Anche in questi casi, però, si limitano a prendere poche decisioni, quelle principali, lasciando ovviamente ai quadri dell’esercito la loro esecuzione.
Fu così non solo dopo il 25 Luglio 1943, con la decisione dell’armistizio, ma anche, per esempio, nel Novembre 1917, quando Re Vittorio Emanuele III impose agli alleati francesi e britannici la sua decisione di arrestare l’offensiva germano-austro-ungarica sulla linea del Piave. In entrambi i casi, il Re salvò la Patria da ben più tristi destini.
Fra i tanti esempi stranieri accenniamo a quello russo: alla fine del 1915, in piena prima guerra mondiale, lo Zar Nicola II decise di assumere direttamente il comando dell’esercito, in grave difficoltà. Lo Zar si trasferì al quartier generale e supervisionò la condotta delle operazioni, lasciando naturalmente ai militari di carriera le decisioni tecniche. Da quel momento, le truppe russe non fecero più un passo indietro.

Tutto crollò, invece, con il colpo di stato repubblicano. Al di là della bontà delle decisioni prese dal vertice dello Stato, è evidente che il risultato finale dipende moltissimo sia dai vincoli imposti dalle situazioni di fatto sia dal modo in cui le decisioni del Capo dello Stato vengono messe in pratica.

Torniamo ora al tema specifico di questo articolo:

1) La possibilità che i tedeschi aggredissero l’Italia subito dopo la proclamazione dell’armistizio era ben nota a tutti i militari Italiani, soprattutto agli ufficiali superiori. Naturalmente, non vi era la certezza che ciò sarebbe successo, ma, giustamente, lo si riteneva estremamente probabile.

2) D’altra parte, è evidente che, in virtù del patto d’alleanza stipulato il 22 Maggio 1939, l’Italia non potesse arbitrariamente voltare i cannoni in faccia ai tedeschi per il solo fatto di aver chiesto un armistizio agli anglo-americani. Quando venne compilato il proclama che il Maresciallo Badoglio lesse alla radio la sera dell’8 Settembre 1943, ci si rese conto che non si poteva ordinare di attaccare i tedeschi. Bisognava invece impartire ordini per il caso in cui i tedeschi avessero attaccato per primi. Ecco dunque il significato della frase chiave di quel proclama: “le forze armate Italiane reagiranno ad attacchi di qualunque altra provenienza”. Un significato del resto ben chiaro anche a semplici soldati, come abbiamo avuto modo di verificare in base a testimonianze dirette. D’altra parte, cessate le ostilità con gli anglo-americani, quale avrebbe potuto essere questa “altra provenienza”, se non quella tedesca? Ricordiamo anche che già il 26 Luglio 1943 le armate di Hitler avevano oltrepassato il Brennero, spingendosi in Veneto ed in Liguria, verso il centro dell’Italia. Gli attacchi a unità italiane cominciarono la notte dell’8 settembre.

3) Ma c’è molto di più. Nella sostanza, tenendo conto del rapido evolversi della situazione, l’ordine di resistere ai tedeschi era già stato impartito con il Foglio 111 CT di metà agosto, con la memoria OP 44 (e relativo e relativo ordine applicativo (diramato da tre ufficiali superiori di Stato Maggiore del Comando Supremo, situato a Monterotondo, che telefonarono personalmente l’ordine, “in telefonia segreta”, a tutti i Comandi ai quali era stata inviata la OP 44 - cfr. Torsiello, in “Rivista Militare”, la rivista ufficiale dell’Esercito, 3 marzo 1952), con la memoria OP 45 e con i promemoria n. 1 e 2. Fu infine confermato sia dal telegramma 24202, indirizzato a tutti i comandi periferici alle ore 02,00 del 9 settembre, sia dall’ordine impartito dal Comando generale di Brindisi l’11 settembre.
Gli ordini, perciò, c’erano e infatti furono eseguiti eroicamente in moltissimi casi. Basti ricordare, per ora, che intere divisioni li eseguirono, come risulta anche dal diario ufficiale di guerra tedesco per il 1943. Citiamo, ad esempio, la “Venezia”, la “Taurinense”, l’ ”Ariete”, la “Bergamo”, la “Acqui”, la “Piave”, la “Pinerolo”, la “Perugia” e la “Firenze”.

4) Ma vi fu chi preferì non eseguire questi ordini, approfittando del clima di confusione, peraltro inevitabile, di quel momento. E per giustificarsi inventò la favola della loro mancanza, ben presto sfruttata (in chiave propagandistica anti-monarchica) da CLN, comunisti, R.S.I. e nazisti e poi perpetuata nei decenni seguenti da molti divulgatori conformisti.

In conclusione: gli ordini c’erano. Fu solo la propaganda anti-monarchica che affermò il contrario, contribuendo tra l’altro a coprire chi aveva preferito non compiere il proprio dovere

I RESPONSABILI CAV. ORAZIO MAMONE, RODOLFO ARMENIO

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