Dopo l'armistizio dell'8 settembre il Re Vittorio Emanuele III trasferisce lo Stato da Roma a Brindisi e salva l'Italia!
8 settembre 1943Con il "trasferimento a Brindisi", una zona sempre italiana e libera dai tedeschi, il Re e il Governo riuscirono a rimanere gli unici interlocutori legittimi per gli anglo-americani e impedirono che l’Italia venisse smembrata, come accadde alla Germania.
La cosiddetta "fuga del Re" è una falsa interpretazione storiografica imposta da chi vuole screditare la Monarchia.
Furono proprio i nazisti e fascisti a sostenere l’accusa rivolta a Vittorio Emanuele III di aver lasciato l’esercito senza ordini alla data dell’armistizio.
Gli ordini c'erano ed erano chiari, e fu la propaganda anti-monarchica ad affermare il contrario, contribuendo tra l’altro a coprire chi non aveva compiuto il proprio dovere.
Inoltre in una Monarchia Costituzionale il Re, pur essendo nominalmente capo delle forze armate, non interviene direttamente nella azione di comando, ma è il Governo che prende le decisioni finali, dopo aver ascoltato il comando delle forze armate sempre affidato alle persone più tecnicamente preparate.
Quindi il Re non poteva avere alcuna responsabilità e se ci fossero state delle colpe queste erano di Badoglio e dei Generali.
Dopo la proclamazione dell’armistizio si sapeva bene che i tedeschi avrebbero subito aggredito l’Italia. Per il patto d’alleanza stipulato il 22 Maggio 1939, l’Italia non poteva attaccare i tedeschi per il solo fatto di aver chiesto un armistizio agli angloamericani, ma si poteva ordinare di attaccare i tedeschi solo se fossero stati i tedeschi ad attaccare per primi gli italiani. Ecco il significato della frase chiave di quel proclama: “le forze armate Italiane reagiranno ad attacchi di qualunque altra provenienza”. Un significato ben chiaro a chiunque, dal Generale al più piccolo soldato.
I partiti che erano per la repubblica, approfittarono del clima di confusione, peraltro inevitabile dopo l'8 settembre, per sbarazzarsi del Re e della Monarchia. Questa propaganda anti-monarchica (la fuga) serviva per convincere molti italiani a votare per la repubblica nel referendum istituzionale.
Se non ci fosse stata questa feroce propaganda contro il Re, colpevole di essere scappato da Roma, la monarchia avrebbe stravinto nel referendum istituzionale e l'Italia sarebbe rimasta un Regno.
Insomma Re Vittorio Emanuele III trasferendo lo Stato da Roma a Brindisi salvò l'Italia, ed ecco alcuni pareri insospettabili di favoritismo monarchico.
- Sergio Romano (Corriere della Sera, 23-06-06): debbo chiedermi cosa sarebbe successo se il Re fosse rimasto nella capitale e fosse caduto, com'era probabile, nelle mani dei tedeschi. Vi sarebbero state nei mesi seguenti un'Italia fascista governata da Mussolini e un'Italia occupata dagli alleati, priva di qualsiasi governo nazionale. La fuga, fra tante sventure, ebbe almeno l'effetto di conservare allo Stato un territorio su cui sventolava la bandiera nazionale. Non è poco.
- Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica: il Re ha salvato la continuità dello stato (il governo italiano colmò l'incombente vuoto istituzionale, imponendosi agli alleati quale unico interlocutore legittimo).
- Lucio Villari (Corriere della Sera, 09-08-2001): Sono, in proposito, assolutamente convinto che fu la salvezza dell'Italia che il Re, il governo e parte dello stato maggiore abbiano evitato di essere afferrati dalla gendarmeria tedesca e che il trasferimento (il termine "fuga" è, com'è noto, di matrice fascista e riscosse e riscuote però grande successo a sinistra) a Brindisi gettò, con il Regno del Sud, il primo seme dello stato democratico e antifascista ed evitò la terra bruciata prevista, come avverrà in Germania, dagli alleati.
Infine non è vero che a Roma non rimase neanche un membro di Casa Savoia Ecco cosa disse in una delle sue memorie il colonnello delle SS Eugen Dollmann: La famiglia reale e Badoglio nel frattempo erano partiti, con somma delusione del cosiddetto gruppo estremista del quartier generale di Kesselring […] Ma non trovarono che il genero del Re, il generale Calvi di Bergolo, il cui sacrificio morale ha un valore che gli italiani non dovrebbero dimenticare. […]
Secondo il maresciallo ed i suoi più intimi collaboratori, la monarchia aveva salvato l'unità d'Italia abbandonando Roma, e salvato Roma lasciandovi un membro di casa Savoia.
Giorgio Carlo Calvi di Bergolo era il marito della principessa Iolanda di Savoia.