Chiaro il riferimento al qualunquismo e, senza nominandolo, a grillo.
Il capo dello Stato parla sul difficile rapporto tra notizia e sensazionalismo.
e si chiede come coniugare principio di libertà e principio di responsabilità, anche e in particolare quando si indaghi, e si denunci in materia di politica e istituzioni.
Per difendere il sistema repubblicano napolitano ha detto ai giornalisti di smettere di alimentare qualunquismo e antipolitica.
Visto il suo ruolo è normale e logico che napolitano cerchi di difendere le istituzioni ma ,invece di dare un duro richiamo ai giornalisti - il diritto-dovere d'informare e comunicare obbliga a essere sempre coscienti delle ricadute d'ogni denuncia indiscriminata e magari approssimativa -, non sarebbe meglio criticare o denunciare i comportamenti scorretti e sbagliati presenti nelle istituzioni e tra i politici ?
Non si difende le istituzioni con le parole ma piuttosto facendo cose concrete, come ad esempio diminuendo i costi del quirinale e pubblicando le spese del quirinale.
Ho la sensazione che napolitano continua a comportarsi da politico, ed in questo caso si perde nel teatrino politico lontano dalle cose concrete e dagli italiani...
Il presidente e le accuse ai partiti: «So che è scomodo ma intervengo» Napolitano: «Antipolitica pericolosa» Il capo dello Stato: l'informazione eviti il sensazionalismo
ROMA — Lo allarma il «danno» che procura un’informazione concentrata soltanto in «rappresentazioni unilaterali della realtà», ispirata magari «dall’idea che "le buone notizie non sono notizie"». E gli suscitano inquietudine «le ricadute che può avere la denuncia indiscriminata e magari approssimativa, non puntuale, sensazionalistica dello stesso mondo della politica e delle istituzioni». Nelle redazioni il vento sembra oggi soprattutto questo, a Giorgio Napolitano. E secondo lui è un vento «pericoloso», che rischia di portare a conseguenze preoccupanti. La più grave, sottintesa ma trasparente nel suo ragionamento, è di veder crescere la distanza tra l’Italia delle piazze dove vanno in scena i nuovi tribuni (come Beppe Grillo, comunque mai nominato) e l’Italia dei palazzi del potere, stretta d’assedio. Insomma: la febbre dell’antipolitica, accompagnata dal pericolo di una rapida degenerazione in patologia del corpo sociale, preoccupa molto il capo dello Stato. Tanto che chiede pubblicamente un impegno ai mass media e non si sottrae, subito dopo, a un breve botta e risposta di approfondimento.
Presidente, pure lei avanza il sospetto che giornali e tv abbiano un certo grado di responsabilità nell’alimentare i sentimenti di rifiuto della politica ormai dilaganti nel Paese. «In casi come questo i mass media dicono: "noi raccogliamo e riflettiamo la realtà". Il che è logico ma, dico io, la questione è "come" si raccoglie e si riflette questa realtà». Resta il fatto che, mentre si dibatte su quale sia la più corretta interpretazione del lavoro giornalistico, il clima diventa di giorno in giorno più pesante. «Già, e mi pare una situazione pericolosa». Lei lascia intendere anche che sarebbe «più comodo», per il Quirinale, non intervenire su questa materia... «Sì, sarebbe più conveniente, per me, cavalcare il fenomeno oppure estraniarmi da tutto. Ho scelto di non fare né l’una né l’altra cosa».
Napolitano è dunque consapevole di toccare «un argomento delicato» e anzi perfino «sospetto a seconda della collocazione personale o politica di chi l’affronta». Però non ci rinuncia, richiamando i giornalisti (e non soltanto loro) al dovere di «coniugare principio di realtà e principio di responsabilità», senza per questo «accettare censure o infliggersi autocensure». È importante tenere conto delle conseguenze «di quel che si scrive o si comunica»— aggiunge—specie quando «si informi, si indaghi, si denunci in materia di politica e di istituzioni ». C’è infatti «un interesse generale » da preservare sempre. Un valore superiore, diciamo così, che per lui di questi tempi coincide con «l’assillo del rafforzamento della vita democratica e delle istituzioni repubblicane». Il nodo del problema è tutto qui, per il presidente della Repubblica. Il quale riconosce che «il mondo politico merita ogni disvelamento e approfondimento critico».E tuttavia sollecita a fare questa sacrosanta opera di indagine permanente «con la misura adatta a suscitare partecipazione e volontà di riforma piuttosto che sterile negazione e, in definitiva, senso di impotenza ».
Altrimenti — ecco il retropensiero dell’appello — si producono spinte di sgangherato qualunquismo, la gente non crede più a nulla e ci si infila dritti in una crisi di sistema. Per dire tutto questo, biasimando con toni tra lo scherzoso e il serio «la troppa violenza al congiuntivo» e il «troppo gossip a scapito delle notizie», il capo dello Stato ha scelto la «Giornata dell’informazione». Un appuntamento organizzato riunendo al Quirinale oltre duecento fra promotori, giurie e vincitori di alcuni importanti premi giornalistici. Diversi dei quali assegnati alla memoria di reporter che hanno sacrificato la vita in aree di guerra (da Enzo Baldoni a Maria Grazia Cutuli), in zone di mafia (Giovanni Spampinato) e di camorra (Giancarlo Siani). A chiusura dell’incontro, Napolitano non manca di esprimere come altre volte esplicita solidarietà alla classe giornalistica. Che anche a lui sembra penalizzata dal «troppo precariato» e dall’ «umiliazione di un contratto che non c’è, quasi sospeso a tempo indeterminato».
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