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domenica, settembre 23, 2007

RAI e repubblica


La classe politica è allo sbando ed in preda solo alla voracità dei propri interessi.

Il governo, nominando Fabiani al posto di Petroni, ha sconquassato i già fragili rapporti interni alla maggioranza.
L'opposizione giustamente si oppone ma fa sorridere dicendo che non è mai successo che il presidente, il direttore generale e la maggioranza del Cda della Rai siano espressione dei partiti.

La RAI è stata sempre controllata dai partiti.
Il cosiddetto Piano aziendale della RAI è sempre il frutto della voracità dei partiti di controllarla.

Questo ultimo scandalo televisivo diminuisce la già scarsa credibilità e corrrettezza della RAI.
Il vero male della Rai è il rapporto con il potere politico che ne indebolisce la funzione civile, che la limita vitalità culturale e che la fa soffrire come impresa che opera nel mercato.

Invece di risolvere i problemi urgenti degli italiani (lavoro, sicurezza, sanità, democrazia...) il Paese Italia è bloccato dal dibattito sul cda Rai, il governo ha rischiato di capitolare sulla Rai, da una semplice sostituzione di un consigliere con un altro.

La classe dirigente è lontano anni luce dal Paese ...
Troppo chiacchiericcio politico, ma i fatti concreti e le risoluzioni dei problemi dove sono ????

Il guaio di questo disgraziato Paese non è solo quello di avere un governo incapace ma c'è anche un'opposizione che quand'era al governo lasciò le cose come stavano, concentrandosi sugli amministratori, e che, oggi, non ha una proposta seriamente alternativa da contrapporre.

In questo repubblica, dove si pensa solo ad occupare il Potere, la Politica muore

A questo punto, forse, l'unico modo è quello di vendere la Rai, se non altro per togliere le mani dei partiti dalla informazione televisiva e per migliorare le casse dello Stato.

E poi diciamo la verità.
Non solo la RAI ma tutto lo stato e le istituzioni repubblicane sono lottizzate e controllate dai partiti.

mercoledì, settembre 19, 2007

Napolitano: massmedia e antipolitica

In un clima pesante, dove la sfiducia e l’antipolitica dilagano, napolitano ha detto che la situazione è pericolosa, ed è preoccupato per gli attacchi alla politica e alle istituzioni.

Chiaro il riferimento al qualunquismo e, senza nominandolo, a grillo.

Il capo dello Stato parla sul difficile rapporto tra notizia e sensazionalismo.
e si chiede come coniugare principio di libertà e principio di responsabilità, anche e in particolare quando si indaghi, e si denunci in materia di politica e istituzioni.

Per difendere il sistema repubblicano napolitano ha detto ai giornalisti di smettere di alimentare qualunquismo e antipolitica.

Visto il suo ruolo è normale e logico che napolitano cerchi di difendere le istituzioni ma ,invece di dare un duro richiamo ai giornalisti - il diritto-dovere d'informare e comunicare obbliga a essere sempre coscienti delle ricadute d'ogni denuncia indiscriminata e magari approssimativa -, non sarebbe meglio criticare o denunciare i comportamenti scorretti e sbagliati presenti nelle istituzioni e tra i politici ?

Non si difende le istituzioni con le parole ma piuttosto facendo cose concrete, come ad esempio diminuendo i costi del quirinale e pubblicando le spese del quirinale.

Ho la sensazione che napolitano continua a comportarsi da politico, ed in questo caso si perde nel teatrino politico lontano dalle cose concrete e dagli italiani...


Il presidente e le accuse ai partiti: «So che è scomodo ma intervengo» Napolitano: «Antipolitica pericolosa» Il capo dello Stato: l'informazione eviti il sensazionalismo

ROMA — Lo allarma il «danno» che procura un’informazione concentrata soltanto in «rappresentazioni unilaterali della realtà», ispirata magari «dall’idea che "le buone notizie non sono notizie"». E gli suscitano inquietudine «le ricadute che può avere la denuncia indiscriminata e magari approssimativa, non puntuale, sensazionalistica dello stesso mondo della politica e delle istituzioni». Nelle redazioni il vento sembra oggi soprattutto questo, a Giorgio Napolitano. E secondo lui è un vento «pericoloso», che rischia di portare a conseguenze preoccupanti. La più grave, sottintesa ma trasparente nel suo ragionamento, è di veder crescere la distanza tra l’Italia delle piazze dove vanno in scena i nuovi tribuni (come Beppe Grillo, comunque mai nominato) e l’Italia dei palazzi del potere, stretta d’assedio. Insomma: la febbre dell’antipolitica, accompagnata dal pericolo di una rapida degenerazione in patologia del corpo sociale, preoccupa molto il capo dello Stato. Tanto che chiede pubblicamente un impegno ai mass media e non si sottrae, subito dopo, a un breve botta e risposta di approfondimento.

Presidente, pure lei avanza il sospetto che giornali e tv abbiano un certo grado di responsabilità nell’alimentare i sentimenti di rifiuto della politica ormai dilaganti nel Paese. «In casi come questo i mass media dicono: "noi raccogliamo e riflettiamo la realtà". Il che è logico ma, dico io, la questione è "come" si raccoglie e si riflette questa realtà». Resta il fatto che, mentre si dibatte su quale sia la più corretta interpretazione del lavoro giornalistico, il clima diventa di giorno in giorno più pesante. «Già, e mi pare una situazione pericolosa». Lei lascia intendere anche che sarebbe «più comodo», per il Quirinale, non intervenire su questa materia... «Sì, sarebbe più conveniente, per me, cavalcare il fenomeno oppure estraniarmi da tutto. Ho scelto di non fare né l’una né l’altra cosa».
Napolitano è dunque consapevole di toccare «un argomento delicato» e anzi perfino «sospetto a seconda della collocazione personale o politica di chi l’affronta». Però non ci rinuncia, richiamando i giornalisti (e non soltanto loro) al dovere di «coniugare principio di realtà e principio di responsabilità», senza per questo «accettare censure o infliggersi autocensure». È importante tenere conto delle conseguenze «di quel che si scrive o si comunica»— aggiunge—specie quando «si informi, si indaghi, si denunci in materia di politica e di istituzioni ». C’è infatti «un interesse generale » da preservare sempre. Un valore superiore, diciamo così, che per lui di questi tempi coincide con «l’assillo del rafforzamento della vita democratica e delle istituzioni repubblicane». Il nodo del problema è tutto qui, per il presidente della Repubblica. Il quale riconosce che «il mondo politico merita ogni disvelamento e approfondimento critico».E tuttavia sollecita a fare questa sacrosanta opera di indagine permanente «con la misura adatta a suscitare partecipazione e volontà di riforma piuttosto che sterile negazione e, in definitiva, senso di impotenza ».

Altrimenti — ecco il retropensiero dell’appello — si producono spinte di sgangherato qualunquismo, la gente non crede più a nulla e ci si infila dritti in una crisi di sistema. Per dire tutto questo, biasimando con toni tra lo scherzoso e il serio «la troppa violenza al congiuntivo» e il «troppo gossip a scapito delle notizie», il capo dello Stato ha scelto la «Giornata dell’informazione». Un appuntamento organizzato riunendo al Quirinale oltre duecento fra promotori, giurie e vincitori di alcuni importanti premi giornalistici. Diversi dei quali assegnati alla memoria di reporter che hanno sacrificato la vita in aree di guerra (da Enzo Baldoni a Maria Grazia Cutuli), in zone di mafia (Giovanni Spampinato) e di camorra (Giancarlo Siani). A chiusura dell’incontro, Napolitano non manca di esprimere come altre volte esplicita solidarietà alla classe giornalistica. Che anche a lui sembra penalizzata dal «troppo precariato» e dall’ «umiliazione di un contratto che non c’è, quasi sospeso a tempo indeterminato».

ilcorrieredellasera

martedì, settembre 18, 2007

CEI: l'Italia è un Paese in crisi morale



Ha ragione da vendere il presidente della Cei, Angelo Bagnasco.
L'Italia vive una crisi profonda, è venuto meno il legame che unisce il cittadino allo Stato, legame che esiste solo se lo stato è capace di farsi promotore e garante del bene comune.

E' inoltre illusorio sperare in un improvviso quanto miracolistico rinsavimento morale, se al punto in cui ci troviamo non avviene una ricentratura profonda, da parte dei singoli soggetti e degli organismi sociali, sul senso e sulla ragione dello stare insieme come comunità di destini e di intenti.

Purtroppo gli italiani non sono assolutamente rappresentata, ne' tanto meno definita, dai fenomeni peggiori a cui tanta enfasi viene data dai massmedia.

Nonostante la malata società nella quale viviamo, la componente sana della società è ampiamente maggioritaria, nel silenzio dignitoso e in spirito di sacrificio, con ancoraggio alla fede cristiana o per ispirazione all'umanesimo.

Commento.
Secondo me, la CEI condanna senza appello lo stato repubblicano, la classe politica, i massmedia, che hanno plasmato una società lontana dai principi e valori ai quali l'uomo ha sempre creduto e dove è cresciuto.

Lo Stato, inteso come comunita' politica strutturata, ha solo il compito di registrare e regolamentare le spinte comportamentali che emergono dal corpo sociale.

A questo punto per avere una Vita e Società migliore è necessario che l'uomo, ancorato alla fede cristiana o all'umanesimo, definisca un nuovo stato, una nuova classe politica, una nuova società....

Insomma c'è bisogno di una rivoluzione.



Italia spaesata rischia la crisi morale, avverte Bagnasco (Cei)


CITTA' DEL VATICANO (Reuters) - Davanti a situazioni e comportamenti "criminali" senza soluzione, l'Italia rischia di diventare un paese "spaesato" se non si pone un argine alla deriva dei valori essenziali della convivenza.

E' l'appello che il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, ha rivolto oggi al Consiglio episcopale permanente, con uno sguardo attento ai recenti episodi di cronaca, dal "dramma crescente" degli incendi boschivi, alla "clamorosa inclusione" della scelta di aborto tra i diritti umani riconosciuti, dal problema degli sfratti alla mondanità.

"Vi sono situazioni e comportamenti socialmente deplorevoli, anzi criminali, che non riescono a trovare soluzione: pensiamo, ad esempio, al dramma recente e crescente degli incendi boschivi provocati dall'uomo che in questa ultima estate hanno messo in ginocchio intere zone del Paese", ha ricordato Bagnasco nella sua prolusione.

"Alla luce di simili fatti, ma anche di altre tendenze comportamentali, sembra che diventi sempre più friabile il vincolo sociale e si prosciughi quel tipo di solidarietà su cui una comunità strutturata deve fare affidamento, se vuole essere un paese-non-spaesato".

Pur definendo "illusorio sperare in un improvviso quanto miracolistico rinsavimento morale", il presidente della Cei invita a ritrovare, anche grazie alla religione, "i valori essenziali per una convivenza".

Bagnasco tiene a precisare di non auspicare "uno stato etico", "che in realtà nessuno vuole", ma ricorda l'importanza di valori come quello della persona e della vita umana, della famiglia fondata sul matrimonio, della libertà dei genitori nell'educare i figli, "ai quali vale la pena dedicare la vita: barattarli, questi valori, significherebbe annichilire le sorgenti della vita stessa".

Il presidente della Conferenza episcopale guarda con preoccupazione a una società "afflitta da uno strano 'odio di sé' ... che fa del 'relativismo' il proprio 'credo'", citando ad esempio "l'atteggiamento di resa che contrassegna tanta prassi sociale, in cui a prevalere sono il divismo, il divertimento spinto ad oltranza, i passatempi solo apparentemente innocui, il disimpegno nichilista e abbrutente la persona".

Davanti a uno scenario così cupo, Bagnasco tratteggia una soluzione nella "componente sana della società" che definisce "maggioritaria" e che, ispirata ai valori del Vangelo, "nel silenzio dignitoso e in spirito di sacrificio" e che "vive i propri doveri, vive la realtà della famiglia e le varie relazioni, vive la sfida irripetibile della propria esistenza terrena con serietà, onestà e dedizione".

reuters